Roma- Torniamo sulla recente (e dura) Transat 650 per rendere il meritato omaggio ai due velisti italiani che l’hanno conclusa. Dopo Simone Gesi, è ora la volta di Susanne Beyer che, con la sua Penelope, ha concluso al 22esimo posto finale tra i Serie, miglior velista italiano nell’edizione 2011. Bravissima.
Questo il suo racconto, scritto a mente fredda appositamente per Farevelanet:
“Ormai due mesi fa sono atterrata a Salvador de Bahia, dopo 4.200 miglia di navigazione in solitaria
e 32 giorni di meraviglioso e spaventoso Oceano. La Transat ha rappresentato il culmine di un
progetto che è durato 3 anni e che mi ha regalato le più intense emozioni della mia vita. La prima
tappa, da La Rochelle a Madeira, è stata magica per condizioni e stato della barca. Dopo un inizio
difficile nel Golfo di Biscaglia, Penelope e io abbiamo viaggiato veloci fino a Madeira,
piazzandoci 19esime.

La seconda tappa, da Madeira a Salvador (Brasile) è stata un po’ meno magica… Dopo una prima parte decisamente emozionante, con vento forte e mare molto grosso all’altezza delle Isole Canarie, le condizioni sono state davvero difficili. Dalla radio apprendevo ogni giorno delle avarie e dei ritiri del resto della flotta. Penelope camminava veloce ed ero sempre nella testa del gruppo. Bellissimo… fino a che il 18 ottobre, poco dopo le Canarie, il mio pilota idraulico ha deciso di impazzire, facendomi, tra l’altro, rischiare di rompere tutto durante una
straorza sotto spi con 27-28 nodi di vento. A quel punto mi si prospettava un lunghissimo
“trasferimento” fino al Brasile. Il mio pilotino elettrico non era certo in grado di mantenere la barca
competitiva e mi costringeva ad avanzare sottoinvelata. Ho cercato di mantenere alto l’umore e di
andare avanti anche se molto più lentamente.
Il 23 ottobre un vento ben superiore a 50 nodi (a 56 ho smesso di guardare l’anemometro che era in
pozzetto) ci ha costretto a una giornata alla cappa. E’ stata un’esperienza difficile. Non avevo mai
preso tanto vento con la mia saponetta (leggi Penelope) e il secondo pilota, quello elettrico, è
morto. Momento drammatico. Stavo facendo da ponte tra la Duvignac, che aveva un problema al
timone, e una delle barche accompagnatrici. Quest’ultima ha tentato di dissuadermi dal
proseguire, dicendo che non ce l’avrei mai fatta ad attraversare senza. Ma dove potevo andare? In
Africa? Dove? Il mio budget era sottozero e l’unico modo di tornare a casa era arrivare a Salvador.
In ogni caso, mai e poi mai avrei mollato la mia barca da qualche parte o peggio in mezzo
all’Oceano, almeno finchè ero in forze.

E’ stata un’esperienza incredibile. Ho messo in atto alcune strategie per cercare di mantenere un
ritmo e dopo i primi giorni di preoccupazione ho visto che funzionava. E’ stata un’edizione molto
dura, ma il lato positivo è che abbiamo fatto tanta bolina. Ciò mi ha permesso di poter legare il
timone ogni tanto, anche se il mare violento non permetteva di mantenere la rotta per molto tempo.
Verso le coste del Brasile ero davvero al limite delle forze e avevo paura della terra. La vista era
confusa, per non parlare della mancanza di concentrazione.

Non ricevevo notizie dalla radio ssb, che non funzionava, e non avevo idea di come fossi piazzata.
All’arrivo ho scoperto che non ero ultima. Quando ho rotto il pilota la mia paura era di non avere
abbastanza cibo per arrivare dall’altra parte o addirittura di arrivare dopo la partenza del cargo che avrebbe riportato in Europa le barche (?!).
Non ho mai contato le miglia che mancavano, ma quelle che coprivo ogni giorno. E’ stato un
meccanismo che ha funzionato per non scoraggiarmi.Come marinaia sono contentissima di questa avventura. Il risultato poteva sicuramente essere
migliore se non avessi rotto il pilota, ma queste sono le regate oceaniche. C’è sempre l’imprevisto
che cambia tutte le carte in tavola.
A livello umano è stato il coronamento di un sogno che ho portato avanti con una passione infinita. Ho appena venduto la barca e ne sono felice perchè così era previsto che dovessse concludersi il
progetto.
Penelope rimane una filosofia di vita, un’idea, una passione che deve prendere altre forme.
Vorrei andare avanti, vorrei creare un nuovo progetto per continuare a navigare in Oceano. Sto
pensando di unire le forze, di provare a fare qualcosa con un altro velista italiano. Sogni e sogni, in
un’Italia che non fa altro che scoraggiarci, ma proprio per questo non voglio andar via. Per il 2012-
2013 vorrei una barca sponsorizzata da aziende italiane, che credano in valori che questa crisi ci
forzerà a rivalutare. Vediamo…”. (Susanne Beyer)
Questi i video da Penelope, che dimostrano la tenacia della Beyer:
In una dura bolina:

In un groppo:

A Capo Verde (con un meritato auto primo piano):

Great experience, great woman.