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Roma- Cos’è che non è andato per la squadra olimpica italiana a Weymouth? Proseguiamo la nostra analisi (e attendiamo i vostri commenti), iniziata con una visione generale dell’evento, soffermandoci ora su quanto abbiano notato ai Giochi Olimpici e nei mesi di preparazione in seno al team azzurro. Non è andata bene, dicevamo, anzi è andata proprio male. Inutile far finta che non sia così. Non abbiamo vinto nessuna medaglia, cosa che non accadeva da Pusan 1988 e Barcelona 1992, e siamo arrivati in Medal Race in sole 4 classi sulle 8 in cui eravamo presenti. La media dei piazzamenti è stata un malinconico 17,12. Il miglior risultato è stato il quarto posto, decisamente brillante, di Gabrio Zandonà e Pietro Zucchetti, che hanno mancato una storica medaglia per pochissimi dettagli. A loro va riconosciuto il giusto merito. Poi viene il quinto posto di Giulia Conti e Giovanna Micol, che ripete il piazzamento di Qingdao, e il nono posto di Alessandra Sensini, a cui deve andare comunque tutta la gratitudine della vela italiana per una carriera inimitabile. C’è poi l’ottimo nono posto di Giuseppe Angilella e Gianfranco Sibello nei 49er, dopo una Medal Race conquistata con merito e determinazione.

Alessandra Sensini, la vela italiana la ringrazie per la sua splendida carriera ed esempio di professionalità sportiva. Foto Borlenghi

Per il resto delusioni, in parte annunciate e in parte scontate, anche se, a ben vedere, viene il sospetto che i reali piazzamenti in quelle classi rispecchino pienamente il valore di chi li ha ottenuti. Ma andiamo con ordine, ribadendo un principio fondamentale: l’Olimpiade, secondo quanto dicono tutti coloro che la vivono, è un evento diverso da tutti gli altri, dove la pressione psicologica è enorme e che premia solo e unicamente i migliori della flotta. Del resto, proprio questo sono le classi olimpiche, una lunga e inesorabile selezione per formare i più bravi, che poi vinceranno riuscendo a dare il massimo nel momento decisivo. Che poi questi stessi vincenti siano destinati a brillare anche nella vela dell’America’s Cup, nei giri del mondo o nella grande altura è verità scontata e mille volte provata, con buona pace di chi ancora storce il naso abbagliato da superyacht e classi owner-driver e non riserva visibilità alla più bella vela che si conosca, disciplina che dopo i fasti di Weymouth ha davvero pochi rivali in termini di autenticità.

Cosa, quindi non è andato? Non tutti possono vincere un’Olimpiade, sennò che selezione sarebbe. Occorrono talento, forza interiore, determinazione, preparazione fisica, solidità mentale, capacità di concentrazione astraendosi dal contesto, istinto del killer quando serve senza però perdere una visione strategica globale. I grandi, Ben Ainslie, Tom Slingsby, Nathan Outteridge e Mathew Belcher con i rispettivi prodieri, Freddy Loof, Iain Percy e Robert Scheidt, sono una sintesi di tutto questo: umiltà d’imparare a terra, capacità di lavorare in team, bramosia di migliorare e spietata determinazione in acqua. Badate bene che, a ben vedere, sono proprio tutti così.

Perché noi non ci riusciamo, pur avendo un movimento velico non proprio trascurabile? La sensazione è che anche la vela italiana sia una metafora dei mali storici del nostro Paese: incapacità di lavorare in squadra, tendenza a circondarsi della mediocrità per paura dell’innovazione, penalizzazione dei giovani capaci per paura “di perdere il posto”. Osservando la squadra italiana si aveva spesso la sensazione di un perenne “tutti contro tutti”. Si noti, le risorse ci sono state e gli atleti hanno avuto quasi tutto ciò che chiedevano. Ma alla fine c’è sempre una scusa, la mastra di un albero, la vela che non va, un allenatore che non soddisfa, un salto di vento… Raramente si fa davvero autocritica. Guardate l’approccio mentale di chi ha saputo vincere davvero, Alessandra Sensini, che alla fine della sua sesta Olimpiade dice “meno male che è finita, mi mancava quella scossa dentro indispensabile a questi livelli”. Invece, cosa accade? La subdola paura di se stessa per la tecnicamente eccelsa Giulia Conti, l’incapacità di estraniarsi da un contesto ansioso, e quindi pericoloso per l’Olimpiade di un’atleta, che ha colpito un Filippo Baldassari che pure appena un mese prima dei Giochi era velocissimo, l’incostanza di una Francesca Clapcich peraltro capace di buoni spunti, il passaggio olimpico che non sarà ricordato, se non da loro stessi, di Federico Esposito e Michele Regolo… Tutto ciò ha portato la nostra spedizione nel Dorset a uno dei peggiori risultati medi di sempre, appunto 17,12.

Giulia Conti e Giovanna Micol in 470, per loro un altro quinto posto dopo quello di Qingdao 2008. Foto Borlenghi

Bisogna distinguere, però, e per farlo occorre discuterne per punti. Iniziamo con il sistema di selezione voluto dal DT Luca De Pedrini.

La selezione

Scopo dei trial olimpici è quello di portare ai Giochi i migliori atleti in ogni classe. E’ successo? In almeno 2-3 casi su 8 no. L’idea della selezione a punti su tre eventi nel 2011 non era male, ma aveva due insidie nascoste: la prima il sistema di punteggio scelto, che assegnava troppa importanta alla Medal Race rispetto al resto, per cui un nono a Hyeres assumeva importantza decisiva rispetto a un 11esimo quando tale differenza in acqua è relativa. E’ successo così (Finn) che Filippo Baldassari (intendiamoci, il merito va a lui che ha saputo inserirsi nella lotta tra Michele Paoletti e Giorgio Poggi) ha vinto la selezione pur essendo stato battuto per circa l’80 per cento delle volte dai due nel computo delle singole prove. Così nei Laser dove Miche Regolo ha saputo approfittare di una rara configurazione di punteggio prevalendo su Bottoli e Gallo che spesso l’avevano battuto, sia prima sia dopo la selezione. La seconda variabile è di aver lasciato solo il selezionato per lunghi mesi. Cosa fatale, per esempio, a Diego Negri, anche se l’atleta ligure in realtà ha dovuto più che altro lottare contro se stesso. Certo è che se Negri avesse avuto accanto un, citiamo a caso, Santoni, Benamati, D’Alì al Mondiale decisivo di Hyeres forse il risultato avrebbe potuto essere diverso.

Gabrio Zandonà e Pietro Zucchetti sono stati i migliori degli azzurri, con un quarto posto che è andato molto ma molto vicino a uno storico bronzo. Bravissimi. Foto Borlenghi

Spirito di squadra

Vogliamo dire che uno dei mali storici della vela italiana è l’incapacità di fare team, troppo spesso il compagno di squadra viene visto come un rivale e non come un’opportunità per crescere insieme, si ha paura e quindi si preferisce non condividere tecniche ed esperienze. Senza saperlo si finisce per indebolirsi, non sfruttando la possibilità di avere un amico-rivale preparato e poi… che vinca il più bravo. Vedere i finnisti inglesi (tutta gente in grado di vincere singolarmente una medaglia olimpica) far da sparring partner a Ben Ainslie, i team di staristi che si allenano insieme sul Garda, i laseristi che fanno squadra pur sapendo di ritrovarsi uno conto l’altro in acqua ci lascia davvero molta amarezza.

In Italia per troppi quadrienni si è coltivato solo l’equipaggio olimpico, creando un baratro con gli equipaggi numero 2, 3 e 4… che alla fine, per mancanza di risorse e stimoli smettevano e finivano per accasarsi tra gli effimeri luccichii dell’altura rinunciando a sogni ben più consistenti. A volte, e qui scatta “l’assistenzialismo” altra malattia italiana, “mamma FIV” viene vista come l’unica, insieme ai Gruppi Sportivi, in grado di finanziare una campagna olimpica. Salvo poi criticarla a ogni occasione. Insomma, non sempre il materiale tecnico a disposizione è di prim’ordine e se non si può garantire un piazzamento almeno tra i primi venti, forse è meglio restare a casa. Non è che gli australiani, dominatori a suon di talenti eccelsi di quest’Olimpiade, finanzino tutti. Lo fanno solo con i migliori, quelli che arrivano a un certo livello internazionale dimostrando di avere le qualità. Se poi il campione in questione si chiama Tom Slingsby va da sé che l’oro è assicurato…

Michele Regolo, ha regatato con molta determinazione non riuscendo però a far meglio di un 35esimo posto. Foto Borlenghi

I quadri tecnici

Luca De Pedrini, direttore tecnico della squadra olimpica della FIV, ha dimostrato di essere un ottimo coach – e le parole di Gabrio Zandonà, che lo ha pubblicamente ringraziato alla fine dell’Olimpiade, lo testimoniano – ma non ha ottenuto il massimo come equilibrato direttore tecnico. Osservando la squadra si notavano una serie di correnti, di gruppi, di giochi di relazione che sembravano avere più lo scopo di mantenere un ruolo di potere che di sviluppare un gruppo, delegando ai capaci posizioni e ruoli. I giri di valzer dei tecnici FIV negli ultimi due anni, decisivi per la preparazione olimpica, sono stati davvero troppi. Gli atleti meno maturi si sono poi prestati, inconsciamente, a tali giochi, finendo per alimentare un clima da continua “notte dei lunghi coltelli”. Chi per ascesa, chi per bisogno, chi per seguire i capricci di un equipaggio, chi per paura del nuovo e di sistemi di lavoro diversi, ma alla fine ci faceva davvero più piacere vedere il vecchio e saggio Valentin Mankin, uno che le sue medaglie le ha vinte, estraniarsi da tale impercorribile labirinto per andare a fare la sua passeggiata serale, con una mela in mano, sulle scogliere di Portland.

Per vincere, insomma, bisogna circondarsi dei migliori, dei più preparati in ogni campo. La politica dei mediocri, degli yesman che contribuiscono alla difesa del proprio posto di lavoro, è inversamente proporzionale al successo. Chi ha paura di misurarsi, del nuovo è destinato alla sconfitta. Chiaro e semplice. Così come non ha chance chi trova sempre una scusa alle proprie debolezze.

Il cambio generazionale

La FIV di Carlo Croce sta ottenendo risultati spettacolari del settore under 21 ma si è trovata a gestire vecchie dinamiche nella squadra olimpica. Bisogna cambiare mentalità, non c’è altra soluzione. Occorre una vera e propria rivoluzione “culturale”, mantenendo magari quei due-tre equipaggi (pensiamo a Gabrio Zandonà e a una Giulia Conti destinata pare allo skiff doppio con Francesca Clapcich) veterani con coach personale, e qui De Pedrini potrebbe essere utilissimo per esperienza, e rinnovando in tutte le altre classi, lasciando spazio ai molti nomi nuovi che stanno emergendo coordinati, per esempio, da un Paolo Ghione: ai Francesco Marrai, ai Giovanni Coccoluto, alle ragazze del 420 e se Marrai si trova bene con il suo storico allenatore del CN Livorno Gianni Galli che continui a far dell’ottima vela con lui. Chi è nei Gruppi Sportivi Militari ha già un buon supporto, per cui la FIV potrebbe seguire altri e aumentare gli “osservati”. Ogni classe dovrebbe avere un gruppo che lavori e cresca insieme. C’è un vantaggio: questi ragazzi sono completamente vergini, ancora sfuggono alle dinamiche burocratiche federali, ai giochetti di potere che tarpano le ali. Sono un patrimonio in vista di Rio 2016 proprio perché possono essere plasmati secondo una nuova mentalità, prendendo esempio dai grandi campioni che citavamo prima.

Ci vorrà coraggio, certo, ma crediamo sia l’unica strada possibile. Rinnovare per non scivolare nell’oblio e nella mediocrità, che è poi ciò che sta accadendo, con le dovute proporzioni, al nostro Paese. Così ci auguriamo di non vedere più legioni di dirigenti CONI nelle prime file della sfilata inaugurale, togliendo spazio agli atleti (meno male che c’era la Sensini). Di non vedere più i superSUV della Fiv (auto che molte altre federazioni si sognano) far la spola tra un tecnico e l’altro. Di assistere a guerre più o meno aperte per occupare un posto di potere nutrendo una burocrazia che non fa altro che autoalimentarsi senza pensare all’obbiettivo per il quale esiste.

Il 49er di Angilella-Sibello di fronte al pubbico del campo Nothe. Foto Borlenghi

I velisti

Ma è mai possibile che un ragazzo di Cipro e uno del Guatemala rispettivamente vincano l’argento olimpico e vadano vicino a salire sul podio nei Laser e che il nostro rappresentante, Michele Regolo, finisca 35esimo. E’ quello il nostro valore nella più matematica delle classi? Troppo viziati, a volte i nostri velisti hanno dimenticato come si sputano sangue e fatica, un bagno di umiltà con una struttura agile che li sostenga è quanto ci auguriamo. I bravi non nascono per caso, ma si formano, lavorano con chi è più forte, preparano fisico, barca, vele, studiano, allenano la mente, si curano in ogni aspetto, lasciando da parte le molte distrazioni. Lo sport olimpico moderno è professionale in tutti i settori. O si prova a far sul serio o è meglio lasciar perdere.

Se analiziamo i risultati della vela italiana dai due bronzi di Dodo Gorla e Alfio Peraboni nelle Star (1980 e 1984), scopriamo che abbiamo vinto medaglie con una fuoriclasse molto indipendente come Alessandra Sensini, con un genialoide come Luca Devoti che alla fine ha saputo gestirsi da solo e con un caparbio italo-argentino come Diego Romero. Mai, quindi, abbiamo vinto una medaglia con un atleta “costruito” dalla Federazione. Per Rio 2016 c’è un patrimonio giovanile importante, ci sono tre nuove classi dinamiche come il Nacra 17 misto che pare stia attirando molto interesse, il Mackay XX e il Kite (o windsurf), per cui un rinnovamento sarà naturale.

Ci pare evidente come questo stato di cose non possa più proseguire, anche in relazione ai soldi spesi in un difficile momento economico come questo. Per cui si presentano due rotte: rinnovare e cambiare mentalità oppure adagiarsi nelle dinamiche italiote cercando sempre di individuare le colpe negli altri e mai in noi stessi, privilegiando il proprio piccolo interesse al bene collettivo. Entrambe le strade sono percorribili. Ci auguriamo che il presidente Carlo Croce scelga la prima.

Per tutti i risultati dell’Olimpiade clicca qui

I risultati degli azzurri:

470 M Zandonà-Zucchetti 4°

470 F Conti-Micol 5°

RS:X F Sensini 9°

49er Angilella-Sibello 9°

Laser Radial Clapcich 19°

Finn Baldassari 22°

Laser Regolo 35°

RS:X M Esposito 34°

 

20 COMMENTS

  1. Complimenti, finalmente una analisi seria, precisa ed assolutamente condivisibile. Speriamo vi sia autocritica, l’onesta di capire che bisogna passare la mano, e la volontà di mettersi in gioco di nuovi volti con visioni più aggiornate sulla gestione di un gruppo.
    Avremmo bisogno di un Renzi anche in FIV.

  2. Bravo Michele ad esprimere concetti che ognuno di noi porta dentro ma che spesso non riesce a manifestare.
    Una analisi precisa che coglie nel segno gli aspetti negativi della realtà italiana ma che nello stesso tempo indica alcune strade da seguire per poter puntare al prossimo appuntamento di Rio 2016 con diverse aspettative.
    L’augurio è che il Presidente Croce si ricordi del suo passato di atleta e possa adottare da subito quei cambiamenti strutturali necessari a far si che l’Italia conquisti alle prossime Olimpiadi il posto che le spetta.
    Raimondo Cappa

  3. Il mio personale grido d’allarme è stato da me lanciato su queste pagine in tempi non sospetti sebbene limitato a quella che è la mia sfera di visibilità delle classi olimpiche. Cervellotiche ed incomprensibili sono state le scelte che la federazione ha operato sulla classe laser oltre alla ingiusta ed immotivata esclusione di Pietro Sibello nei 49r. Sia Marco Gallo che Pietro Sibello hanno qualificato le loro rispettive classi alle olimpiadi ma sopratutto nel caso di Marco a suo favore erano i risultati in acqua e la ranking list. Lobbies interne, incapacità???
    I risultati parlano chiaro, ne usciamo con le ossa rotte e qualcosa dovrà cambiare.

    Ad Maiora

  4. Per il 470 maschile, l’ultima regata, se sei terzo e l’Argentina quarta, devi fare la regata sull’Argentina e non fare scelte inconprensibili. Grazie Antonio

  5. Analisi perfetta,caro Michele,te lo dice uno che di quadrienni olimpici ne ha seguiti tanti tanti.la differenza positiva sta nel fatto che finalmentene è stato fatto molto, e bene per i giovani e questi risultati devono dare a Carlo Croce la spinta per il fondamentale rinnovamento che tutti auspichiamo

  6. Un’analisi perfetta.
    Aggiungerei di andare a vedere quali regole le altre federazioni nazionali della vela hanno “imposto” ai propri atleti circa la formazione congiunta e lo sharing del know how di ogni aspetto legato alle regolazioni e ai materiali.
    Dirigere è a volte saper prendere delle decisioni impopolari e opinabili e per averne la forza bisogna essere forti…

  7. Secondo me occorre anche seminare meglio e far rinascere (o nascere) il movimento della vela sin dai suoi aspetti embrionali.
    Le prossime olimpiadi sono già qui e non molto si puo fare per il movimento della vela se ci focalizziamo solo su quelle. Dovremmo, secondo me, seminare per le olimpiadi del 2020 togliendo quella patina di inarrivismo e nobiltà regale che aleggia intorno alla vela ed al movimento olimpico. Riavvicinare l’uomo comune, la sua famiglia ed i suoi figli alla vela attraverso una campagna di comunicazione adatta es:
    – trasfigurare i sogni di mare, pirati ed avventure che ogni bimbo ha e farli “partire” nella realtà da un Bug o un Optimist
    – trasformare la voglia di evasione che l’impiegato medio da sempre coltiva dietro alla scivania e farla “realizzare” al timone di un Daily Sailing o con il campeggio nautico.
    – motivare l’atleta tipo delle palestre di fitness facendogli capire che i suoi addominali ed i suoi dorsali perfetti possono essere una via per salire su un rialzo molto piu motivante di una bilancia negli spogliatoi.
    Insomma se non creiamo entusiasmo e non formiamo un ampio movimento saremo sempre legati a dover far contenti quei due o tre che per strane coincidenze della vita si sono messi a fare vela da ragazzi…

  8. Ottimo articolo, senza polemiche e con visione chiara.
    Prima cosa, grazie e bravi gli amici che ci hanno rappresentato a questa Olimpiade. Si sono guadagnati e meritati la partecipazione e sono sicuro che abbiamo dato il massimo in tutti i 4 anni della loro campagna fino al traguardo dell’ultima prova olimpica.
    Sulla Federazione potremmo perdere giorni e giorni nella discussione, purtroppo la gestione delle classi olimpiche anzichè migliorare è peggiorata.
    Non dimentichiamo che due classi non si sono qualificate… e non per sfortuna.
    Sono rimasto all’interno delle squadre olimpiche fino a due anni fa e, a mio avviso, i due errori iniziali nell’impostazione della nostra preparazione olimpica sono i seguenti.
    Primo, una federazione senza ottimi tecnici non può vincere.
    Secondo, non esistono più le squadre nè le flotte, si punta sempre e solo sugli stessi chiudendo la strada ai ricambi. Se un atleta o un equipaggio partecipano e tre Olimpiadi senza vincere una medaglia è segno che non sono in grado di farlo neanche se li mandiamo a farne sei.
    E se le selezioni le vincono sempre gli stessi , evidentemente c’è un problema di fondo…..

  9. Come al solito bella e precisa l’analisi di Michele!
    Secondo me bisogna ripartire dalle note positive, non tutto è da buttare e cerchiamo di avitare di chiedere solo le teste dei responsabili.
    Certo, alle Olimpiadi si va per vincere le medaglie e questa volta Nostra Signora da Grosseto non ce l’ha fatta, ma non si può pensare che sia sempre lei a cavare le castagne dal fuoco.
    Da dove partire dunque per migliorare e arrivare a Rio con migliori possibilità?
    Abbiamo un’ottima base di giovani che sta crescendo e sta ottenendo ottimi risultati.
    Per non disperderla abbiamo bisogno di Tecnici che sappiano creare una Squadra e sappiano motivare e far lavorare duro i ragazzi da adesso al 2016, facendoli progredire in tutti i campi (tecnica, tattica, psicologia, meteo, ecc.) con la consulenza dei migliori in ciascun settore.
    Il metodo di selezione va rivisto, secondo me la selezione secca va benissimo ma con qualche correttivo. A mio parere va data meno enfasi al piazzamento in Medal (un decimo posto valeva troppo più dell’undicesimo) e la regata finale dovrebbe essere circa otto/nove mesi prima dell’Olimpiade, per scegliere chi è più in forma lasciandogli il tempo di riposare dopo la selezione e di prepararsi adeguatamente.
    E cerchiamo di sfruttare l’esperienza anche di chi non ha ben figurato a Londra. Mi sembra che il grande Slingsby non abbia fatto un figurone a Qingdao, ma ha saputo rifarsi!

  10. Caro Michele,
    eccellente il to esame dell’insuccesso olimpico che, spero possa servire a qualcosa per il futuro. Da “vecchio” dell’altura, mi riferisco al commento sui numeri 2, 3 e 4, che sostanzialmente condivido, ma in particolare agli “effimeri luccichii dell’altura”, un giudizio chiaramente dispregiativo per un settore della vela che per vari motivi dovrebbe avere almeno pari dignità con gli altri ed al quale tutti o quasi prima o poi devono transitare, se vogliono continuare a praticare il nostro sport. Certo non è un settore che gode delle “luci” della vela olimpica ma, a parte i recenti successi di quella giovanile, è l’unico settore che ci offre costantemente più di un motivo di soddisfazione. Basta ricordare – e forse è il caso di farlo, vista la modestissima copertura mediatica dell’evento – il recente successo nel Campionato Mondiale ORC ad Helsinki, unico mondiale di flotta a rating riconosciuto dall’ISAF. Su 135 partecipanti, tre barche italiane. Risultato: i due ori in palio ed un bronzo. Un successo che, da quanto mi risulta, non è costato un singolo Euro a “Mamma FIV” per la quale ovviamente ci sono figli e figliastri. Ma almeno i media cerchino di considerare tutti figli e dare loro uguale spazio.
    Un caro saluto,
    Giovanni

  11. analisi giusta, ma anche troppo “tenera”: la situazione si può riassumere nella frase “Mai, quindi, abbiamo vinto una medaglia con un atleta “costruito” dalla Federazione.” . Questo è quello successo nel passato e anche quest’anno!

  12. “Per vincere, insomma, bisogna circondarsi dei migliori, dei più preparati in ogni campo. La politica dei mediocri, degli yesman che contribuiscono alla difesa del proprio posto di lavoro, è inversamente proporzionale al successo. Chi ha paura di misurarsi, del nuovo è destinato alla sconfitta. Chiaro e semplice. Così come non ha chance chi trova sempre una scusa alle proprie debolezze.”
    Caro Tognozzi,
    in due giorni è la seconda tua frase che rimarco, e come le tue analisi mette bene il dito nella piaga. purtroppo invece dei G-Men di cinematografica memoria noi abbiamo in troppi campi -non solo sportivi!- allevato un paio di generazioni di Y-men, su cui è difficile emergere come da una buca di sabbie mobili.
    Questo non sia di critica ai nostri atleti, sappiamo la fatica fisica e mentale ed il tempo necessari per raggiungere livelli anche assai inferiori. Forse è una mia impressione che i “grandi” siano un po’ troppo soli? che dietro una Sensini o uno Zandonà non ci sia il codazzo di pulcini come dietro al terzino della parrocchia di Brescello?
    Un problema è stato evidenziato come in via di soluzione, cioè l’ampliamento di quello che si chiamava il vivaio, il numero di praticanti di primo livello: iniziative lodevoli non so quanto rimaste sulla carta.
    E non possiamo affidarci al reclutamento nei gruppi militari di ogni giovane peromessa.
    Ti voglio citare un episodio di parecchi anni fa.
    Due fratelli che ho avuto la fortuna di conoscere da bambini, assai dotati e ben assistiti dalla famiglia, sembravano lanciati
    verso una prestigiosa carriera prima su cat minori e poi in Tornado.
    Mi aspettavo infatti di vederli alle selezioni dei PO, invece per alcuni anni niente. La risposta disarmante fu: -noi dobbiamo studiare, se va bene sabato possiamo fare una uscita di prova, domenica rivedere gli assetti, eccetera e fino a sabato prossimo in facoltà. I *** ,(loro diretti concorrenti all’epoca), lunedì in veleria, martedì, mercoledì in acqua, giovedì messa a punto, venerdì prove, sabato e domenica regatine di allenamento, e così via: se pure li prendiamo più di una volta che vale?
    Oggi sono due stimati professionisti e ancora velisti di talento, ma è chiaro chi è poi andato alle selezioni.
    Un saluto, come si diceva una volta: con viva stima e cordialità.
    Romano Less

  13. Condivido l’onesta analisi di Michele Tognozzi e sottolineo l’aspetto della condivisione delle conoscenze. Può sembrare un concetto scomodo da digerire, ma è, probabilmente, uno dei segreti per raggiungere il successo, e non solo nella vela. Lo spirito di squadra, coordinato da gente capace, non solo non minaccia né il primo né gli sparring partner, ma è indispensabile al miglioramento di tutti. Grazie.

  14. Ciao Michele.
    Ho appena visto la Medal Race dei Finn, finalmente. I detentori dei diritti avrebbero avuto molto più ritorno lasciandole vedere con un loro logo in un angolo piuttosto che bloccandole.
    Comunque, dissento dall’entusiasmo sullo spettacolo di queste medal race, seppur filmate da tutti gli angoli. Anche qui, seguire tutta la regata è una noia mortale. Tranne che dalle inquadrature aeree con disegnate le righe e le distanze scritte, per il resto non si capisce una mazza. E io faccio le regate! Mi immagino la casalinga di Voghera come si sollazza…L’unico modo di rendere piacevoli da vedere le regate è fare le sintesi (che ormai chiamano tutti highlights) dei momenti salienti con i commenti fatti dopo sapendo cosa è successo. Se no succede come qui, che ci fanno vedere Lobert da solo nel laschetto finale mentre alle sue spalle succede il finimondo.
    Facendo le sintesi non ci sarebbe più bisogno di fare regate corte e Medal Race, magari vicino alla costa in condizioni dove la fortuna conta di più della bravura. Hai voglia, ma la MR vale doppio e non è scartabile! Regate lunghe con anche i laschi, belle sintesi e bei commenti.
    E chiudo il mio intervento ultra conservatore dicendo che il pompaggio libero mi sembra veramente una roba brutta.

    Ciao a tutti,
    Dado

  15. Splendida analisi Michele, peccato siano perle ai porci…
    Mentre tu e molti grandi o meno grandi velisti si confrontano qui in maniera arguta, la FIV ottusamente sta facendo la propria campagna elettorale interna, secondo la più becera e squallida logica Bulgara anni 60. La vecchia nomenklatura ha già scatenato il proprio lavoro lobbistico, muovendo le proprie pedine per piazzare lo scacco matto e accaparrarsi le poltrone. Sapete credo tutti molto bene quali sono le metodologie elettive della FIV, che in pratica elegge sé stessa… Un branco di dirigenti che ha come unico obiettivo avere i propri vantaggi e le vacanze pagate… Gente che tornata da Qingdao ha messo nella nota spese anche gli scontrini delle mignotte, senza accorgersene, visto che erano scritti in cinese… Gente che va alle Olimpiadi per sfilare vergognosamente alla cerimonia di apertura, rubando il posto agli atleti. Gente che quando un atleta vince compare per prendersi il merito e quando un atleta va male scompare. Gente che di vela e di sport non capisce nulla. Il 90% della nostra FIV è fatta e sarà fatta di gente così, e quel 10% che invece conosce lo sport, è complice.
    Gli atleti e tutto il movimento della vela italiano è vittima di questi signori.

    • Ciao Rottamatore, condividiamo molte delle tue valutazioni, se ti firmi acquisteranno ancora più forza, che ne dici? Ciao

      • So bene che condividi molte valutazioni, ma so anche bene che oltre certi confini non è bene che tu vada, quindi soono qui anche per aiutarti… Vale molto di più così, ti assicuro. Il fatto che Rottamatore possa essere chiunque aggiunge spessore e suspance. Preferivi Dreyfus?
        In fondo, Rottamatore potresti essere anche tu.

        • Caro Rottamatore (non sarai mica Renzi…?), la sensazione è che siamo a un bivio, o si cambia qualcosa per migliorare o siamo costretti all’oblio, entrambe le strade sono ampiamente percorribili ma temiamo che alla fine prevalga la seconda. Come diceva qualcuno per faccende assai più serie, però, se non ora quando?
          Questa testata vorrebbe veder vincere la vela e i ragazzi italiani, tutto qui, e a Weymouth ha cercato di vedere cosa fanno quelli bravi: se a qualcuno interessa di più la propria poltrona padronissimo di pensarla diversamente. Noi preferiamo imparare da quelli bravi.
          Dreyfuss fu processato ma poi nei libri di storia c’è entrato, magari c’entri anche te.
          Ciao

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