Newport, USA- Andrea Mura e Vento di Sardegna sono impegnati al massimo in queste ore per cercare di conquistare la vittoria in reale della Ostar 2013. Quale occasione migliore per chiedere al nostro opinionista oceanico Marco Nannini, che l’Ostar l’ha fatta nel 2009, di raccontarci l’epopea di questa storica regata, unanimemente considerata tra le più dure del calendario oceanico internazionale. Ecco qui sotto il suo contributo.
Alle ore 16:30 di giovedì 6 giugno, Andrea Mura con il suo Open Felci 50 Vento di Sardegna è in testa a 1.123 miglia da Newport, con 75 miglia ora di vantaggio sul trimarano di 53 piedi Branec IV. Restare davanti a Branec IV e valutare quali scelte assumere per tentare di migliorare il record per un monoscafo da 50 piedi stabilito da Giovanni Soldini con 15 giorni, 18 ore e 29 minuti, primato di cui parla anche Marco Nannini.
“Sarà dura migliorare il record di Giovanni”, ha affermato oggi Andrea Mura, “le due burrasche iniziali mi hanno fortemente rallentato e anche nelle ultime due notti ho avuto colpi di vento da 30 nodi che poi sono improvvisamente crollati e il vento ha ruotando in continuazione lasciando temperature da 6 gradi. Nei prossimi giorni il meteo non è certo favorevole perché propone venti contrari, ma sono fermamente deciso a giocarmi tutte le mie chance”.

E’ in corso la OSTAR 2013, mentre scrivo questo articolo Andrea Mura è in testa a poco più di metà del percorso, una regata durissima sotto molti aspetti e a cui sono particolarmente affezionato avendovi partecipato nel 2009. Quasi tutti gli appassionati sanno che la O in OSTAR stava per Observer, il nome del quotidiano che sponsorizzò la prima transatlantica in solitario, che venne denominata dunque Observer Single-handed Transatantic Race, OSTAR appunto. Correva l’anno 1960 e gli iscritti evocano un’altra epoca della vela. L’unica edizione in cui tutti I partiti giunsero a destinazione. I nomi di quei pionieri entrarono a far parte del mito, il vincitore Francis Chichester e Blondie Hasler i due nomi che divennero più noti, ma non dimentichiamo Val Howells, David Lewis e Jean Lacombe.
Una rotta difficile e pericolosa
Prima di parlarvi un po’ della storia di questa regata e ancor prima di raccontarvi degli eroi che sono entrati a far parte di questo mito vorrei prima cercare farvi capire perché questa rotta è diventata leggendaria negli anni. La partenza è da Plymouth in Inghilterra, l’arrivo fu a New York nella prima edizione del 1960 e poi fu spostato a Newport, Rhode Island dal 1964 in poi per evitare le rotte commerciali della grande mela. La rotta più breve è di 2.850 miglia circa, un rapido sguardo alle pilot charts per il mese di giugno rivelano immediatamente che i venti prevalenti sono quelli da sudovest, ovest e nordovest tipicamente associati al passaggio di depressioni atlantiche che si formano nella zona di New York per poi spostarsi verso il nord dell’Irlanda formando un ciclo continuo. Per quanto il vento oscilli durante il passaggio delle depressioni i venti sono in prevalenza contrari e il concorrente che voglia tentare la rotta più breve si troverà a scegliere il bordo mura sinistra nei venti da sudovest per poi virare e mettersi mura a dritta dopo il passaggio del fronte freddo. Sono ovviamente possibili anche fasi con venti portanti, specie se un anticiclone delle azzorre molto meridionale portasse i centri depressionali su una rotta più a sud ma possiamo dire che lungo la rotta più breve si navigherà di bolina circa il 50% del tempo, un 30% di bolina larga o traverso e in qualche rara occasione con venti portanti anche se a memoria il 20% mi sembra una percentuale ottimista.

Il treno delle depressioni segue un ritmo abbastanza cadenzato e a seconda della velocità della barca si dovrà mettere in contro di attraversare da est a ovest un certo numero di centri depressionali, ognuno con venti tra forza 6 e 8 nelle sue fasi più delicate, al passaggio dei fronti, e non sono da escludere venti anche più sostenuti con venti che arrivino ai 50-60 nodi, almeno in raffica. Alcuni anni sono più clementi, altri più tosti. Per una vecchia barca che impieghi quattro settimane a completare la regata le depressioni da affrontare potranno essere 6-7 o più, una barca più veloce che dimezzi questi tempi potrebbe cavarsela con 3 o 4 ma chiunque si metta in testa di affrontare questa rotta deve avere chiaro che una burrasca intensa sulla rotta sarà inevitabile, salvo rarissime eccezioni.

Per evitare i venti contrari lungo la rotta più breve bisogna fare molta strada in più, ci sono due opzioni, puntare decisamente verso una rotto molto nord nella speranza di trovare flussi favorevoli al nord dei centri depressionali, questa è una strategia sempre meno seguita per l’ovvio svantaggio di navigare in temperature molto ostili e venti comunque forti con il rischio che uno spostamento dell’anticiclone delle azzorre verso nord vi faccia ritrovare la strada sbarrata vi costringa ad affrontare gelide burrasche alle alte latitudini. Una seconda opzione è quella di puntare decisamente verso le Azzorre in partenza, come ha fatto il nostro Andrea Mura quest’anno con l’obbiettivo di navigare in flussi prevalentemente da sud e sudovest al di sotto del treno di centri depressionali ma soprattutto in condizioni meteo molto meno ostili, non a caso questa è tipicamente la rotta dei trimarani che non potendo stringere bene la bolina ma potendo raggiungere grandi velocità anche in venti leggeri favorisce questa tattica.
Questa fu la rotta del record di Francis Joyon del 2000, l’unico ad essere mai sceso sotto la soglia dei 10 giorni. I monoscafi solitamente preferiscono una rotta piùsettentrionale e più vicina alla rotta più breve sfruttando il ciclo di rotazioni dei venti Sud, Sud-ovest, Ovest, Nord-ovest tipico delle depressioni nord atlantiche, cambiando bordo sugli scarsi di questo enorme campo di regata dove la prima boa di bolina si trova di fatto all’arrivo a 2.850 miglia. In questo senso la rotta di Andrea Mura del 2013 è anomala per un monoscafo ma non per questo errata, anzi Andrea ha visto un buon spiraglio a inizio regata per macinare quasi metà regata ed evitando una delle depressioni che il collega Roger Langevin su Branec IV ha dovuto affrontare più a nord verso la fine della prima settimana di regata, riportando venti fino a 50-55 nodi durante il passaggio del fronte freddo. In questo senso avevo scritto altrove che durante la prima parte di questa OSTAR il trimarano Branec IV e il monoscafo Vento di Sardegna sembravano essersi invertiti I ruoli e le rotte tipiche per il tipo di barca.
Se lasciamo da parte le rotte più meridionali che furono tipiche dei trimarani ORMA di 60 piedi che dominarono la regata verso la fine degli anni 80, la rotta più breve è ancora una delle preferibili su un monoscafo ma è qui che lo scacchiere di regata si complica. La rotta più breve, in linea d’aria, passa sulla terra ferma in Canada, dunque la rotta praticabile sarebbe subito a sud della Nova Scotia, passando sui temutissimi Banchi di Terranova, terreno di pesca e di burrasche rese famose dal film “The perfect storm – La tempesta perfetta” con George Clooney. I banchi in sé sono pericolosi per la possibilità di trovare mare con onda frangente pericolosa per la navigazione, questo fenomeno dovuto all’improvviso innalzarsi del fondale oceanico da migliaia di metri a meno di 100 è simile a quanto possiamo osservare nel Golfo di Biscaglia o a Capo Horn, altri due temutissimi e rispettatissimi punti del globo per ogni navigatore.

Qui a Terranova c’è però un dettaglio che complica ulteriormente il gioco, la presenza di iceberg che dalla Norvegia vengono portati in direzione sud dalla corrente del Labrador per venire a incagliarsi proprio sui banchi dove lentamente si sciolgono. Per il velista ci sono due opzioni, valutare il rischio beneficio di attraversare la zona di ghiacci o evitarli del tutto e passare a sud dei banchi di Terranova. L’international Ice Patrol pubblica giornalmente una cartina con la posizione nota o stimata di tutti gli iceberg noti e con frequenza settimanale circa fa ricognizioni aeree per monitorare la situazione, nebbia permettendo. Le acque fredde portate dalla corrente del Labrador qui incontrano infatti I flussi d’aria calda e umida provenienti più da sud provocando nebbia per circa il 50-60% dei giorni nel mese di giugno. Detta così, salvo essere un po’ incoscienti, non verrebbe in mente a nessuno di prendere la scorciatoia in mezzo agli iceberg avvolti nella nebbia dei banchi ma sin dal 1960 il comitato organizzatore lascia questa scelta e questa responsabilità allo skipper senza imporre un gate per tenere i concorrenti fuori dalla zona iceberg come invece fu fatto nella versione “The Transat” del 2004 e 2008 organizzata per i professionisti.
Nel 2009 impostai un punto teorico sull’estremità sud dei banchi di Terranova, un punto teorico già usato nel 1980 dall’americano Phil Weld. Arrivati in prossimità dei banchi però una profonda depressione si formò nella zona di New York e puntava sulla flotta, rimanendo più a nord avrei evitato di prendere sul muso i 50 e più nodi di vento previsti. Dovevo decidere tra una durissima e pericolosa bolina in burrasca o il rischio iceberg ma affrontando i forti venti al portante. Fra i due mali in molti scegliemmo di passare in mezzo agli iceberg che non vidi mai, né sul radar né ad occhio nudo data la nebbia costante ma certo della loro presenza secondo i dati pubblicati dalle ricognizioni aeree dell’International Ice Patrol. Così facendo evitai la burrasca, navigai con venti al portante e beneficiai della spinta della gelida corrente del Labrador che con l’acqua che si aggirava intorno ai 4 Celsius qui curva e aiuta il velista a raggiungere il traguardo alla velocità di un nodo un nodo e mezzo circa a favore.

Più a sud la situazione è molto diversa, il punto teorico all’estremità dei banchi di Terranova nasce per trovare un equilibrio fra il rischio ghiaccio e quello di ritrovarsi a navigare in un’altra corrente, contraria, ben più famosa e molto intensa, quella del Golfo che può raggiungere tranquillamente i 2-3 nodi di media in questa zona, ma a volte può opporsi al progresso di un concorrente anche a 4 nodi. La sua posizione è nota ma non esattamente costante, il muro nord che separa la corrente del Golfo dalla corrente del Labrador è netto e avventurandosi verso sud un concorrente protrebbe passare dall’avere un nodo di corrente a favore a due o più contrari nello spazio di poche miglia, potendo osservare uno sbalzo di temperatura dell’acqua da sub 10 gradi Celsius a 20-25.
La corrente del Golfo dopo I banchi di Terranova si apre a ventaglio perdendo d’intensità prendendo il nome di “North Atlantic Drift” che comunque sottrae circa 12 miglia (0.5 nodi su 24 ore) al progresso di ogni concorrente.

Nebbia, iceberg, vento e corrente contrari, fondali che si innalzano improvvisamente creando onde pericolose, traffico commerciale e di pescherecci, le insidie sembrano interminabili, non c’è davvero tregua fino all’arrivo, nell’ultima fase della regata si ha a che fare con un’ampia zona di venti leggeri che spesso rimescolano le carte e ci sono le secche del St George Bank in prossimità dell’arrivo, dove una barca con poco pescaggio ha un netto vantaggio su una barca con maggiore pescaggio, potendo accorciare il percorso di svariate miglia.
Tutti questi aspetti, la varietà delle insidie e la ricchezza di opzioni strategiche ha reso questa regata una delle più affascinanti che esistano. Come nacque e chi partecipò nel corso dei decenni non ha fatto altro che rafforzarne il mito.
Una storia leggendaria
La leggenda vuole che la prima edizione nasca da una scommessa fra Francis Chichester e Blondie Hasler per una mezza corona ma in verità così non fu, Blodie Hasler lanciò l’idea di questa regata già nel 1956 e solo alla vigilia del 1960 il quotidiano Observer decise di appoggiare questa idea che all’epoca pareva folle per tutto quanto già detto in merito a vento, correnti ed iceberg. Nessuno infatti aveva mai tentato una transatlantica a quelle latitudini, per di più in solitaria, da est a ovest contro i venti e le correnti prevalenti, nessuno era certo che fosse davvero possibile.
Il primo a tagliare il traguardo della prima edizione fu Francis Chichester, che impiegò più di 40 giorni, pochi meno di quanti ne ha impiegati recentemente il trimarano Banque Populaire a fare il giro del mondo mentre l’ultimo ad arrivare, il francese Jean Lacombe impiegò ben 74 giorni, quasi quanti ne ha impiegati Francois Gabart a finire il Vendee Globe 2012/13. Bisogna dire che Lacombe viaggiava su un barchino di 21.5 piedi e Gabart su un moderno Open 60, non vi invito dunque a fare un confronto, bensì a pensare quante cose siano cambiate da quella prima storica regata che ha fornito lo stimolo iniziale per tutte le regate oceaniche che seguirono. Fu infatti lo stesso Francis Chichester, pochi anni dopo, a completare il primo giro del mondo in solitaria nel 1967 su Gipsy Moth, se pur con uno scalo in Australia. Dal suo viaggio nacque l’idea della Golden Globe del 1968, la regata che oggi conosciamo come Vendee Globe.

Gli inglesi, si sa, hanno inventato tantissimi sport, dal calcio al tennis, dal rugby al cricket allo snooker, ma la lista è davvero interminabile passando dal polo alle freccette e perfino l’americanissimo baseball. Salve poche eccezzioni dopo aver inventato gli sport e averli esportati nel mondo gli inglesi hanno perso man mano la supremazia in ognuno. Non vincono una coppa del mondo di calcio dal 1966 ed èsolo di recente che Andy Murray sta sollevando la reputazione dei tennisti inglesi. Nella vela oceanica (visto che tra le boe olimpiche dominano, Ndr) non è andata tanto meglio, dopo aver inventato la OSTAR e poco dopo la Golden Globe è bastato un uomo a stravolgere questo equilibrio e gettare le fondamenta di quello che oggi è uno sport dominato dai francesi. Eric Tabarly si presentò nel 1964 con una barca costruita appositamente per la regata, preparato fisicamente e avendo studiato a lungo la meteorologia della rotta. Abbassò il tempo di percorrenza di Chichester da 40 giorni a 27 e tanto fu il clamore della sua vittoria contro gli inglesi che il presidente De Gaulle gli assegnò la Legionne d’Honneur. La partecipazione di Tabarly trasformò la OSTAR una volta per tutte da romantica lotta dell’uomo contro gli elementi in pura e dura regata, per vincere bisogna essere i più veloci, punto.

La OSTAR nel trentennio successivo ha rappresentato uno dei più fertili terreni per l’innovazione in campo di navigazione in solitaria. La regata nacque con poche regole permettendo agli iscritti di esplorare ogni opzione pur di vincere l’evento. Rimarrà per sempre nella memoria collettiva la partecipazione di Alain Colas sul monoscafo di 72 metri Club Mediterranee nel 1976, quando la regata aveva oramai raggiunto tale e tanto successo che furono ben 125 le barche alla partenza, un record che (credo) rimanga a oggi imbattuto per qualsiasi regata in solitaria a lungo raggio. Dall’edizione del 1980 fu introdotto per la prima volta un limite di 56 piedi di lunghezza fuori tutto, alzato successivamente a 60 piedi per accomodare le flotte di multiscafi ORMA e monoscafi IMOCA che dominarono l’evento dalla fine degli anni ’80 in poi.
Sono tanti, centinaia, i nomi famosi che hanno calcato le onde di quest’evento. Ben 537 i nomi di coloro che nelle passate 13 edizioni hanno partecipato a questa regata. Nel 1972 vinse per la prima volta un trimarano condotto da Alain Colas, nel 1976 tornò a vincere di nuovo Eric Tabarly col monoscafo Pen Duick VI, nel 1980 l’americano Phil Weld. Dal 1984 inizia il dominio dei multiscafi da regata di concezione moderna con Yvon Fauconnier Umupro Jardin in 16 giorni e 6 ore. I multiscafi erano in rapida evoluzione e appena 4 anni dopo Philippe Poupon si aggiudica la regata in 10 giorni e 9 ore su Fleury Michon. Il 1992 è l’anno di un nome del peso di Loick Peyron sul trimarano Fujicolor, che ha partecipato ben 4 volte alla regata.
Il 1996 fu un anno speciale senza ghiaccio riportato sulla rotta in cui furono stabiliti alcuni record che resistono fino ad oggi, il trentenne Giovanni Soldini alla sua seconda partecipazione dopo auella del 1992 su Misco Computer Supplies torna su Telecom Italia e arriva secondo fra i monoscafi in 15 giorni e 18 ore, 4 ore dopo Groupe LG2. La cosa eccezionale è che Giovanni correva su un 50 piedi ed è riuscito a battere tutti gli Open 60 iscritti meno appunto uno e aggiudicandosi il primo posto nella categoria fino a 50 piedi. Il suo tempo di riferimento stabilito nel 1996, rimane a ora imbattuto da un 50 piedi e Andrea Mura nella OSTAR in corso ha come obbiettivo simbolico proprio quello di battere questo tempo.

Nel 2000 Francis Joyon stabilì il record assoluto sulla tratta che, imbattuto da allora: 9 giorni e 23 ore sul trimarano Eure et Loir. I nomi degli iscritti iniziano a essere quelli che ancora oggi incontriamo alle partenze del Vendee ed altre regate, Franck Cammas, Marc Guillemot, Roland Jourdain e molti altri. A vincere fra i monoscafi fu la giovanissima Ellen MacArtur, Soldini fu quinto dei ben 24 Open 60 iscritti davanti per esempio a Michel Desjoyeaux su PRB in settima posizione fra i monoscafi. L’evento era stato messo in calendario dagli Open 60 per completare la qualifica per il Vendee Globe.
Alla vigilia dell’edizione del 2004 il Royal Western Yacht Club sentiva di far fatica a stare dietro alle pressioni delle classi di professionisti IMOCA e ORMA 60 piedi e raggiunse un accordo storico che purtroppo segnò anche l’inizio del declino inesorabile che ha subito la OSTAR da allora. In quell’anno infatti la Offshore Challenges di Mark Turner ed Ellen MacArthur acquistò, per una cifra da sempre oggetto di speculazioni, i diritti per tenere l’edizione per classi IMOCA Monoscafi Open 60 e 50 e ORMA Multiscafi 60 e 50 piedi, ovvero le classi dei professionisti rinominando la regata semplicemente in “THE TRANSAT” e lasciando al Royal Western il diritto di organizzare la versione per amatori non-professionisti facendola scadere però di un anno al 2005.

Pochi sanno che dunque, dal 2005 la O in OSTAR sta per Original a rievocare la OSTAR come era nata. Nel 2005, la prima edizione senza le classi di professionisti, a vincere fu Cotonella di Franco Manzoli sul suo trimarano di 40 piedi in 17 giorni e 18 ore riportando I tempi di percorrenza della regata a quelli del 1980. Secondo fu Roger Langevin in 18 giorni e 6 ore sul suo trimarano Branec IV di 50 piedi, più grande ma più vecchiotto di quello su cui correva Manzoli, lo stesso che sta partecipando alla OSTAR 2013.

Nel 2009, l’anno in cui ho partecipato io c’erano solo due multiscafi iscritti entrambi ritiratisi e così per la prima volta in un ventennio fu il monoscafo Open 40 Roaring Forty condotto da Michel Kenjans ad aggiudicarsi la regata in 17 giorni e 17 ore stabilendo un nuovo tempo di riferimento per un 40 piedi. Quell’anno partecipammo in quattro italiani, Roberto Westermann, Luca Zoccoli, Gianfranco Tortolani e io, di quella regata è stato realizzato un documentario “Out There” disponibile in DVD quindi non mi dilungo qui più di tanto. La mia iscrizione era fatta proprio con lo spirito corinzio che il Royal Western Yacht Club sperava di preservare usando quella O di Original. La mia barca era un cruiser/racer epoca IOR del 1984 di cui si potevano dire tante cose fuorché fosse una saetta dei mari, il mio obbiettivo era arrivare e far bene col mezzo che avevo a disposizione e vincere la mia classe fu una soddisfazione in più. Quella mia OSTAR accese in me la fiamma, il desiderio di fare regate oceaniche ad alto livello, che mi ha spinto fino a fare la Global Ocean Race 2011/2012.
Quando mi presentai sulla linea di partenza avevo letto almeno una quindicina di libri con i resoconti delle edizioni del passato, avevo trovato nel mio amico Jerry Freeman alla sua terza partecipazione un mentore, che mi aveva guidato passo passo verso il mio obbiettivo di attraversare l’oceano in solitaria ma non eravamo professionisti, noi come la maggior parte degli iscritti stavamo navigando per entrare nel mito di questo evento.
La storia della OSTAR è infatti parte integrale dell’evento, del suo fascino, e le sarò per sempre legato con affetto. Tutti I partecipanti vengono automaticamente iscritti allo “Half Crown Club” che vanta fra I suoi membri anche Val Howells, l’unico ancora in vita dei partecipanti dell’edizione del 1960. Il club prende il nome proprio da famosa mezza corona della scommessa immaginaria fra Chichester e Hasler entrata a far parte del folklore dell’evento.

Gli italiani alla Ostar
La partecipazione degli italiani alla OSTAR meriterebbe un articolo a parte quindi mi limiterò a farne I nomi in ordine cronologico.
1968: Alex Carozzo, ritirato.
1972: Franco Faggioni 28g 23h, Ambrogio Fogar 41g 04h. Carlo Mascheroni, ritirato.
1976: Carlo Bianchi 29g, Ernesto Raab 33g 1h, Edoardo Austoni 37g 06h, Ida Castiglioni 37g 10h, Corrado Di Majo 44g, Angelo Preden 44g 4h, Ambrogio Fogar, Edoardo Guzzetti, Paolo Sciarretta, Doi Malingri, Paolo Mascheroni, ritirati.
1980: Pierre Sicouri, Edoardo Austoni 20g 2h, Giampaola Venturin 38g 8h, Beppe Panada 42g 18h. Antonio Chioatto abbandono.
1984: Edoardo Austoni 19g 10h.
1988: Pierre Sicouri 15g 17h (miglior tempo italiano di sempre con il trimarano La Nuova Sardegna, Franco Malingri 33g 2h.
1992: Giovanni Soldini 18g 4h, Vittorio Malingri 20g 10h, Mauro Melis 25g 03h, Franco Manzoli 26g 06h, Guido Oppizzi 27g 18h, Franco Malingri 28g 08h.
1996: Giovanni Soldini 15g 18h, Simone Bianchetti 20g 21h, Fabrizio Tellarini 21g 23h, Franco Manzoli 22g 01h, Franco Malingri e Gianfranco Tortolani ritirati.
2000: Giovanni Soldini 16g 04h, Andrea Gancia 19g 09h, Pasquale De Gregorio 22g 18h, Fabrizio Tellarini 25g 14h.
2005: Franco Manzoli 17g 21h,
2009: Roberto Westermann 19g 3h, Luca Zoccoli 20g 22h, Marco Nannini 21g 23h, Gianfranco Tortolani abbandono.
2013: Andrea Mura, regata in corso.
I tempi di percorrenza andrebbero commentati tenendo conto della barca e dell’anno, ma spiccano i 15 giorni e 17 ore di Pierre Sicouri nel 1988 con un trimarano, i 15 giorni e 18 ore di Soldini del 1996, Andrea Gancia 19g 9h, Franco Manzoli 17g 21h, Roberto Westermann 19g 3h, gli unici 4 italiani a essere scesi sotto la barriera dei 20 giorni. Soldini a dir la verità ha raggiunto questo obbiettivo ben 3 volte e il tempo riportato è il suo migliore del 1996. Va comunque notato che le sue tre partecipazioni fanno tutte riferimento agli anni in cui la OSTAR raccoglieva sia i professionisti che i non professionisti. Giovanni Soldini nel 2008 infatti ha partecipato alla Artemis Transat organizzata da Offshore Challenges per I professionisti, vincendo sul Class40 Telecom Italia la propria categoria.
La difficile attualità
Rimane il mito, rimane la durissima rotta con tutte le sue sfide, ma certo la OSTAR nella sua versione di questo millennio, dove a iscriversi sono per lo più amatori e qualche barca da regata per cui non esiste più una classe attiva è cosa ben diversa dagli anni d’oro fino al 2000, in cui questo evento rappresentava davvero una pietra miliare per tutti i velisti emergenti e di carriera.
La divisione delle classi di questa regata ha visto molte variazioni nel corso delle edizioni, ma storicamente si fa riferimento ai tempi di percorrenza nelle fascie fino a 30, 35, 40, 50 e 60 piedi, mono o multiscafo. Dal 2005 le cose sono state complicate dall’introduzione di classi divise per bande di coefficiente di stazza IRC, non mi addentro neanche nell’argomento visto che potrei rovinarvi il fascino di tutto quanto detto fin’ora. Nell’edizione 2005 vi furono 34 barche alla partenza, nel 2009 31, nel 2013 solo 18 marcando l’ulteriore declino del numero di partecipanti che rischiano di segnare la fine della OSTAR. Sicuramente la decisione di dividere professionisti da amatori ha danneggiato tantissimo la regata, tanto più tenuto conto che la versione per professionisti “The Transat” del 2012 non si è neanche tenuta, cancellata per motivi economici: la Offshore Challenges dopo essersi appropriata dei diritti e della storia di questo evento si è tirata indietro dopo appena due edizioni, col solo risultato di mettere a rischio la sopravvivenza della prima e storica delle transatlantiche in solitario che il Royal Western Yacht Club porta avanti caparbiamente, anche con una manciata di iscritti con barche tutte diverse tenendo in vita un mito che speriamo possa rifiorire negli anni a venire. (Marco Nannini)