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Guadalupa- C’è una disciplina della vela dove pare non vi siano sconfitti, nessuno commetta errori e non esistano secondi posti. Si tratta della vela oceanica in solitario e l’ultima Route du Rhum ne è l’ennesima riprova. Intendiamoci, chiunque prenda il mare da solo su una barca in regata per diverse migliaia di miglia, attraversando burrasche, calme e mille difficoltà tecniche e umane, è degno di ammirazione e compie una notevole impresa. Su questo non si discute e tutti coloro che hanno portato a termine il Rhum meritano applausi. Ne restano in mare, nella serata di lunedì, ancora dodici, cinque per i Class 40 e sette per la classe Rhum. Se, però, prendiamo in analisi il fattore “regata”, ci deve essere anche qualcuno che ha fatto meglio di altri, come in tutte le altre discipline e in tutti gli sport. Per una scelta meteo, per una barca meglio preparata o più veloce, per acume strategico o resistenza personale… i motivi sono tanti, ma alla fine anche qui c’è chi ha fatto bene e chi ha commesso degli errori. Il primo passo per migliorare, e vincere alla regata seguente, è appunto riconoscerli.

Ecco perché ci è sembrata un po’ fuori dalle righe la comunicazione e il rilancio “a pelle”, senza analisi, del Rhum di Andrea Mura con Vento di Sardegna, secondo classificato nella classe Rhum, e in parte di Alessandro Di Benedetto, sesto negli Imoca 60.

Andrea Mura in Guadalupa con Robin Knox-Johnston
Andrea Mura in Guadalupa con Robin Knox-Johnston

Nel caso di Andrea Mura, preparato velista-velaio orgoglioso della sua Sardegna, abbiamo letto di “vittoria” o di “secondo posto, primo monoscafo davanti alla leggenda Robin Knox-Johnston”. Ebbene, il risultato formale di Andrea Mura è un secondo posto, a 2 giorni e 17 ore dal trimarano Aneo di Anne Caseneuve. L’obiettivo dichiarato alla vigilia da Mura era il bis della splendida vittoria di quattro anni fa sempre nella classe Rhum, che gli valse anche un telegramma del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Tale bis non è arrivato probabilmente a causa di un errore tattico rilevante, l’attraversamento dell’Anticiclone delle Azzorre dopo aver seguito fin da Finisterre (uscita della Biscaglia) una rotta molto occidentale e vicina all’ortodromica diretta per la Guadalupa. Tale rotta, però, passa proprio dalle Azzore dove, notoriamente, staziona un enorme Anticiclone dai venti leggeri. Il dilemma di sempre: fare meno miglia ma più lente o farne di più ma più veloci, questione che va avanti più o meno dai tempi di Colombo. Vento di Sardegna ha preso un rischio enorme, che non ha pagato ma ha portato anzi a un’inevitabile perdita di 600 miglia in tre giorni. L’Anticiclone era lì dove doveva essere vista la velocità di Vento di Sardegna. Riconoscere tale errore non dovrebbe essere un problema. Si apprende e si farà meglio la prossima volta.

Mura su Vento di Sardegna all'arrivo
Mura su Vento di Sardegna all’arrivo

Invece, abbiamo letto di vittoria, di “eccezionale rimonta”, quanto l’Open Felci 50 di Andrea, una volta arrivato nell’Aliseo, “riattraversando il campo di regata oceanico” ha fatto quello che normalmente doveva fare portato da un ottimo skipper qual è Mura, ovvero andare più veloce degli altri monoscafi in regata e anche del trimarano che lo ha preceduto di 600 miglia all’arrivo. Senza quell’errore, Mura avrebbe probabilmente vinto ancora o al limite avrebbe compiuto un esaltante testa a testa fino all’arrivo. Sir Robin Knox-Johnston, 75 anni, è arrivato appena 5 ore dietro a Vento di Sardegna navigando su un Imoca 60 vecchio di 14 anni dalle vele non aggiornate, il Grey Power. Le medie di velocità erano ovviamente imparagonabili a favore di Vento di Sardegna. Il terzo posto di Sir Robin è certo un’impresa. Il secondo posto di Mura è stato il minimo che, dopo l’errore delle Azzorre, Mura poteva ancora conquistare e, logicamente e caparbiamente, lo ha fatto.

“Tornerò la prossima volta con una barca più piccola”, ha detto all’arrivo Sir Robin Knox-Johnston, il primo uomo a circumnavigare il globo in solitario senza scalo in regata, “Sono assolutamente sulla luna, in estasi per dir poco. Correvo contro alcuni velisti davvero bravi in questa classe. In questi ultimi giorni abbiamo regatato duramente l’uno contro l’altro e alla fine non c’è vergogna a essere battuto da persone valide. E io sono stato battuto da due marinai davvero ottimi. Mi congratulo con loro”.

Andrea Mura è un ottimo marinaio e una risorsa per la vela oceanica italiana. Abbiamo avuto il piacere e l’onore di navigare con lui: preparato, metodico, bravo comunicatore grazie a un’innata simpatia. Il velista sardo continuerà a far bene, appoggiato dalla Regione Sardegna. Non ha bisogno certo di sotterfugi mediatici. Il prossimo progetto lo vede impegnato con un nuovo Imoca 60 in una campagna per il Vendee Globe, dove ha le capacità tecniche per emergere. Passato da derivista in 470 e randista del Moro di Venezia in Coppa America, ottimo nelle regate oceaniche sin qui disputate, Muraha tutte le capacità per eccellere anche nella nuova classe. Per salire ancora, e confrontarsi con i maestri francesi della Course au Large, dovrà analizzare l’errore, studiare la sua rotta e capire dove far meglio la prossima volta. Mura, in sostanza, è troppo bravo per aver bisogno di inventarsi una non vittoria e, d’altra parte, chi non sbaglia mai difficilmente riuscirà a migliorare.

Alessandro Di Benedetto all'arrivo con il suo Imoca 60 Team Plastique
Alessandro Di Benedetto all’arrivo con il suo Imoca 60 Team Plastique

Alessandro Di Benedetto, sesto negli Imoca 60 a 4 giorni e 7 ore dal vincitore Francois Gabart, è un altro tipo di velista. L’italo francese, dichiaratamente, non scende in acqua per vincere nè può farlo visto che naviga su una barca non di ultima generazione. Come già nell’ultimo Vendee Globe, per lui l’obiettivo è concludere la regata, e anche nel Rhum il distacco dal primo è circa il 33 per cento del tempo, un delta verosimile viste le differenze di barche. Per cui, in questo caso, non siamo proprio sullo stesso campo di regata. Da un alto, gli Imoca 60 top c’è una sfida sportiva, dall’altro c’è una rispettabilissima navigazione, grande spirito umano, determinazione e viaggio interiore. L’importante è arrivare ed è in questo senso che, a nostro parere, andrebbe letta la sua traversata.

 

Considerazioni che, invece, troviamo rovesciate nel caso di Giancarlo Pedote che, con il Fantastica messogli a disposizione dall’armatore-mecenate Lanfranco Cirillo, ha ottenuto il decimo posto nei Class 40. Si tratta tecnicamente del risultato più importante della partecipazione italiana al Rhum. Ma, soprattutto, è l’approccio di Pedote che ci convince una volta di più su come lui possa avere davvero un gran futuro nella vela oceanica in solitario, con un Imoca 60, un nuovo Class 40 o, perchè no anche un multiscafo. La sua rimonta, questa sì complessa, dopo lo scalo tecnico della prima notte a Roscoff è stata impetuosa. I Class 40 venivano “abbattuti” come birilli in una pista da Bowling. Strategia meteo acuta, con rapida discesa alle Canarie e poi bel bordeggio nell’Aliseo con una velocità media che era sempre di mezzo nodo-un nodo superiore alle barche nello stesso sistema meteo.

Giancarlo Pedote all'arrivo in Guadalupa
Giancarlo Pedote all’arrivo in Guadalupa

Abbiamo sentito Pedote dalla Guadalupa il giorno successivo all’arrivo. “Sto analizzando la regata e mi pare di aver rimontato bene, so dove potevo ancora migliorare e con soli tre mesi di preparazione sul Class 40 con le modifiche effettuate, nonostate le quali la barca era ancora 150 chili sovrappeso, mi sono sentito a mio agio. Senza la sosta credo che avrei potuto lottare per il podio, forse non con Alex Pella che è stato bravissimo ma con Kito De Pavant e gli altri credo di sì. I top 20 della class 40 sono molti veloci e preparati, non è stato facile. Io avevo poche ore di mare su questa barca che Lanfranco Cirillo mi ha messo a disposizione aiutandomi in tutto ciò di cui avevo bisogno, ma il tempo è stato poco e io dovevo “sentirla” di più”.

Il metodo di Pedote, che già era emerso all’ultima Transat 650 moralmente vinta, lo ha portato a risolvere poi anche le avarie successive nella parte finale della regata (magari quel tratto di mare porta davvero sfortuna al velista fiorentino…), prima il gennaker da 200 mq in acqua, poi la stessa vela che scoppia per l’usura nel recupero, l’avaria alle trasmissioni Internet, la rottura della calza dell’altro gennaker e il banco di alghe preso nella chiglia. Contrattempi che gli sono costati il nono e forse anche l’ottavo posto finale. Ma va bene così, visto che da Roscoff Pedote era ripartito in ultima posizione, con 12 ore perse e soprattutto il mancato aggancio del treno-meteo dei primi. “D’altra parte dopo la salita in testa d’albero in bolina larga con 30 nodi nella Manica di notte per risolvere l’avaria alla drizza della trinchetta”, ci ha detto, “ero quasi in ipotermia e distrutto dalla fatica, quando ho visto che la borosa dentro al boma che mi impediva di prendere la terza mano era ingarbugliata ho realizzato che la sosta era inevitabile e ringrazio il mio preparatore Fidel di avermi assistito in quell’occasione. Solo dopo la prima settimana ho iniziato ad avere regolari periodi di sonno, ero distrutto, ma poi nell’Aliseo ho giocato bene con le nuvole ottimizzando le miglia”.

L’approccio mentale di Pedote continua a convincere. “Io sono qui per regatare, non per navigare, adesso parlerò con Cirillo e i miei sponsor per decidere cosa fare, vi sono alcune possibilità. Per il momento vorrei dedicarmi ancora alla vela in solitario, al momento non mi ci vedo solo in regate in doppio. Ho le mie abitudini e le mie procedure, in futuro ci sarà tempo per navigare in equipaggio”.

Tre velisti e tre modi diversi di interpretare la vela in solitario. L’Italia ha poi una nuova generazione di ministi, da Michele Zambelli ad Alberto Bona e Andrea Fornaro. Ha Gaetano Mura e Pietro D’Alì. Pedote e Andrea Mura possono far davvero bene. Tra finti record, regate di Ferrari contro Cinquecento, risultati inventati mediaticamente e vere regate la differenza c’è e ci deve essere. Per la credibilità di tutto un movimento. Avanti tutta, lavorando e comunicando bene e tutti i citati in queste note possono farlo, convicendo con i fatti gli sponsor che su di loro vorranno investire.

http://www.routedurhum.com

6 COMMENTS

  1. Si, nella vela d’altura in solitario e in equipaggio abbiamo raggiunto livelli molto elevati, da medaglie d’oro, che invece non arrivano ancora dalla vela olimpica.

  2. Concordo con la sostanza del commento “tecnico” tuttavia vorrei far notare che senza la ottima strategia mediatica, Andrea Mura sicuramente non avrebbe avuto accesso al mondo degli IMOCA 60… sembra inoltre che dimentichiate che la barca di Andrea è un vecchio 50′ progettato nel secolo scorso (1998) (ex Wind, con cui Pasquale De Gregorio fece la Vendée nel 2000)… Andrea lo ha saputo rinnovare e aggiornare con budget irrisori e le vele le ha disegnate e costruite personalmente… il 2° posto di Andrea Mura, dietro un trimarano di ben 60 piedi, allestito e revisionato interamente quest’anno dai maghi francesi dei multi oceanici, è un grande anzi grandissimo risultato…

  3. Un’analisi veramente ben fatta che condivido appieno. In particolare nel dire, ancora una volta, che l’ufficio stampa di Andrea Mura non è all’altezza di un bravissimo Andrea Mura.

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