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Quinta puntata della serie Dieci domande a… curata da Stefano Beltrando. Protagonista Philippe Presti, campione del mondo Finn, timoniere di America’s Cup e attuale coach di Luna Rossa Prada Pirelli.

E’ ancora da definire se sia merito del dentista o del carattere, fatto sta che la prima cosa che si vede di Presti Philippe è il sorriso a 32 denti. Dalle Olimpiadi a skipper di Coppa America fino al suo mestiere attuale, il coach.

1.Chi sei?
Nato nel 1965, sono di Arcachon nel sud ovest della Francia, ho iniziato ad andare in barca sul Laser per poi passare a regatare sul Finn vincendo due campionati mondiali e partecipato alle Olimpiadi del 1996 per finire sul Soling, con il quale ho fatto le Olimpiadi di Sydney2000. Grazie al Soling sono entrato nel mondo match
race, che mi ha portato alla Coppa America. Nel 2003 sono stato il timoniere del team Areva per la Coppa America di quell’anno, mentre nel 2007 ero con Luna Rossa, inizialmente come timoniere della barca B e poi un po’ alla volta nel ruolo di supporto al sailing team, gettando le basi del mio futuro lavoro di coach. Dalla Coppa America 2010 sono passato definitivamente al ruolo di coach, vincendo quell’edizione e quella
successiva del 2013, quella della leggendaria rimonta con il team Oracle. Nel 2017 a Bermuda ero nuovamente in finale con Oracle, così come nel 2021 con Luna Rossa.

2.Come si può essere coach di un team di Coppa quando sei circondato da rockstar della vela e supporti tecnologici per l’analisi dei dati?
Fare il coach per la Coppa America non è insegnare a dei ragazzini a manovrare ma è aiutare un gruppo di professionisti a definire i problemi e trovarne le soluzioni. Questo avviene nei modi più svariati, osservazione, analisi, dialogo… Con Luna Rossa abbiamo sviluppato il nostro strumento, che permette di fare debrief completi ed efficaci grazie alla grande mole di dati raccolti assieme a filmati presi da ogni possibile angolazione utile. Tutto per stimolare la discussione competente tra le persone coinvolte, per distillare il massimo della conoscenza.

3.Parlando di Sail GP, quanto è possibile fare nel ruolo di coach con una programmazione così tirata e con così poco tempo a disposizione?
La sfida principale è proprio farcela in così poco tempo, bisogna raccogliere i dati da tutte le barche, cosa che è possibile in questo circuito, devi studiare l’argomento osservando gli altri e sintetizzando le scelte migliori. Alcuni team hanno il vantaggio di essere già un team fuori dal Sail GP come, per esempio INEOS e TNZ ed è una grande sfida essere competitivi contro di loro.

4.Nel tuo lavoro è più importante essere psicologo, osservatore o data analyst?
Tutto assieme! Bisogna creare un gruppo che si senta a proprio agio, la crescita tecnica è strettamente correlata all’osservazione dei dati, propria e degli altri, c’è poi la comunicazione che è un elemento chiave, senza questa tutto il resto del lavoro diventa inutile. Forse la comunicazione è la chiave principale. Che domanda devo fare il giorno successivo alla regata, che risposte voglio avere?

5.E’ più stressante vedere il tuo equipaggio che regata o regatare tu stesso?
Quando guardo il mio team che regata, penso che il risultato sia semplicemente la conseguenza di una sequenza di decisioni e azioni. Non è stressante, sono coinvolto ma cerco di mantenere una distanza emotiva per comprendere freddamente quello che accade. Quando sono io a regatare è sicuramente diverso, ma penso che il termine stress sia sbagliato perché lo stress è quello che si prova quando si fa un lavoro che non ti piace. Non è il mio caso.

6.Il miglior velista di sempre e perché?
Nella mia generazione ho avuto la fortuna di conoscere molti grandissimi campioni, Russel Coutts, Ben Ainslie, Torben Grael, James Spithill, cosa li accomuna? Essere così concentrati e determinati quando fanno qualcosa che abbia a che fare con la navigazione e che li possa portare a essere i primi a tagliare la linea d’arrivo.

7-La barca ideale che ti piacerebbe avere/disegnare con la quale navigare e regatare con tua figlia?
Al momento io sono appassionato di wing foil, mi piace moltissimo. Ho navigato su qualunque barca dal Moth agli Ultime100. Mi piace il concetto dell’AC40 e pensare a qualcosa di più piccolo, per due persone, con foil e sistemi automatici per non faticare troppo sarebbe stupendo.

8.Perchè la Francia è così in prima linea nella navigazione oceanica qualunque sia la barca o la competizione? Come divideresti la responsabilità tra sponsor, velisti, nazione e federazione?
Con Tabarly anni fa avevamo scoperto che noi francesi potevamo battere gli inglesi, da lì Il fenomeno dei bretoni che hanno creato questo boom della navigazione in solitaria che ha portato i ragazzi giovani che smettono il Laser di passare direttamente alla scena oceanica. La sequenza è stata Tabarly/media/pubblico/sponsor. Vedo ed ho visto velisti professionisti francesi che hanno dato la priorità al Vendee Globe rispetto alle Olimpiadi o alla Coppa America. Questo dice tutto sulla passione francese
per l’ocean sailing.

9-Ammetto di aver sognato l’offshore double handed keel boat alle olimpiadi di Parigi. Aggiornamenti continui per una regata di più di 24 ore equipaggio uomo/donna, velisti pro…Come la vedi?
Secondo me non ha senso che sia olimpico, rappresenterebbe solo una nicchia ricca/europea/francese della vela troppo costosa. Le Olimpiadi devono rappresentare tutti i paesi, anche quelli più poveri. Alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi del 1996 eravamo di fianco alla squadra etiope, che da sempre annovera leggende della corsa; come possibile pensare di acquistare mezzi così costosi del valore di una
vita di lavoro di persone comuni dei paesi più poveri? Semplicemente non rappresenta quello che per me sono le Olimpiadi.

10.Sono sempre molto sorpreso nel vedere il grande supporto della Francia alla vela popolare; che si tratti d’imparare, regatare o semplicemente navigare per divertimento. Com’è possibile? Questo viene dalla Federazione, amministrazione locale o in qualche modo appartiene all’imprinting francese?
Negli anni 70 in Francia c’è stato il boom mediatico della vela agonistica ma anche un movimento che spingeva verso il ritorno alla natura, sono i tempi della nascita della scuola di Glenans. Negli Stati Uniti le vela è associata all’elite e alla ricchezza, il ruolo del club è quello di frequentarsi tra pari mentre in Francia il sailing club è il posto deputato alla promozione della vela presso i più giovani. I club sono spesso finanziati
dal comune, dallo Stato, dalla federazione che si occupano anche dell’acquisto delle barche. Molti hanno iniziato ad andare in barca durante gli anni scolastici dove la vela ha un posto nel programma delle attività extrascolastiche.

Mio padre lavorava per le poste e i dipendenti avevano anche un loro club presso cui
imparare e nel mio caso hanno pure procurato le prime barche che ho usato per regatare. In Italia è una via di mezzo, spesso il club è visto come un ambiente esclusivo ed i costi associati alla vela non sono alla portata di tutti. E’ anche vero però che in Italia l’alto numero di cabinati che competono a qualunque livello dà la possibilità ai giovani di fare il passo dopo le derive ed eventualmente continuare in una carriera
professionale.

(Stefano Beltrando, 5-continua)

Stefano Beltrando, Foto Borlenghi/Luna Rossa
Stefano Beltrando, professionista tra i più apprezzati nel mondo della vela hi tech con la sua QI Composites che si occupa di test non distruttivi e sui materiali, cvura questa serie d’incontri con alcuni dei più noti protagonisti del mondo velico.
Dieci domande a… è una serie che si propone di raccontare la passione per un mondo stupendo e altamente professionale come quello della vela sportiva.
Precedenti puntate:

2.Santiago Lange

3.Luca Rizzotti

4.Giovanni Belgrano

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